Ma poi, vedi, rinasce lo stesso fiore
nella medesima zolla
se mano umana non interviene
la terra restituisce sempre
ciò che si credeva perduto.
Tu così ora percorri
il sentiero dell’infanzia
a fenderlo trovi ancora
due grandi massi bruni
e quasi non credi d’inciampare
nella stessa radice
ascosa tra muschi e aghi ingialliti.
In fondo le pietre sono ancora appese
alla loro montagna
e subito ricordi
come posizionare il piede
per non cadere.
Ti passeggia a fianco
un cagnolino bianco, tutto impettito
che di nuovo protesta con un cane pastore
nero e bianco e selvaggio.
Passa un testimone tra le mandrie
e di anno in anno le rigenera
con i loro sonagli monotoni
e le stanzia nel medesimo alpeggio
con un lento ondeggiare di code e muggiti.
Assorbe il silenzio in una buca
il richiamo della stessa marmotta,
più su ,dove diradano gli alberi
cominciano le distese di crocus e genziane.
E passo a passo rimpicciolisci
diventi poca cosa di fronte ai grandi alberi
alle cime bianche
ai ghiacci perenni
quasi quasi recuperi vista e olfatto
ti inebria di nuovo l’odore del fiume
quando sciacqua il suo campo di lamponi
ti incanta la chiesa bianca sul dirupo
e ciò che -stoica, tenace- ti dice
e un po’ ti spaventa la testa grigia del monte
la sua gola deserta
abitata da nebbie.
Tocchi la terra e fai un vagito
(una valanga scuote la valle in lontananza).
Si nasce sempre ritornando.