domenica 26 agosto 2018

Ritorni

Ma poi, vedi, rinasce lo stesso fiore
nella medesima zolla
se mano umana non interviene
la terra restituisce sempre
ciò che si credeva perduto.
Tu così ora percorri
il sentiero dell’infanzia
a fenderlo trovi ancora
due grandi massi bruni
e quasi non credi d’inciampare
nella stessa radice
ascosa tra muschi e aghi ingialliti.
In fondo le pietre sono ancora appese
alla loro montagna
e subito ricordi 
come posizionare il piede
per non cadere. 
Ti passeggia a fianco 
un cagnolino bianco, tutto impettito
che di nuovo protesta con un cane pastore 
nero e bianco e selvaggio. 
Passa un testimone tra le mandrie
e di anno in anno le rigenera
con i loro sonagli monotoni
e le stanzia nel medesimo alpeggio
con un lento ondeggiare di code e muggiti.
Assorbe il silenzio in una buca
il richiamo della stessa marmotta,
più su ,dove diradano gli alberi
cominciano le distese di crocus e genziane.
E passo a passo rimpicciolisci
diventi poca cosa di fronte ai grandi alberi
alle cime bianche
ai ghiacci perenni
quasi quasi recuperi vista e olfatto
ti inebria di nuovo l’odore del fiume
quando sciacqua il suo campo di lamponi 
ti incanta la chiesa bianca sul dirupo
e ciò che -stoica, tenace- ti dice 
e un po’ ti spaventa la testa grigia del monte
la sua gola deserta
abitata da nebbie.
Tocchi la terra e fai un vagito
(una valanga scuote la valle in lontananza).
Si nasce sempre ritornando.




giovedì 23 agosto 2018

Certezze

Poi comprerei qualche certezza
a prezzo anche di muri ottusi
aprirsi al mattino dicendo 
“sarà così” e sicuri percorrere
una via nota. Andare incontro 
all’amore -se si sa amore-
o alla solitudine
-se quella è annunciata-
con plumbea rassegnazione
non vivere ma continuamente 
ricordare un ricordo vivido
che ci fu sempre
-il nostro incontro di domani
la nostra separazione  
entrare in un bacio sapendo
l’attimo esatto 
in cui per sempre 
rimarranno scostate le labbra
stringersi a monte 
di una dettagliata
pianificata sofferenza-.
Da principio accettare 
un ruzzolare d’imperfetti
-imperfezioni e tempi indicativi-
non morire 
ma sognare un vago affievolirsi
sdraiarsi in una sagoma sottile
e poi ancora andare oltre 
con la coscienza saltare il dirupo
provare e riprovare le proprie note
una litania altalenante  
di diesis cupi 
in una moltitudine di tasti 
bianchi.




domenica 12 agosto 2018

Quattro steli

Boccheggiano in un vaso vitreo
s’un davanzale
quattro fiori bianchi:
qualcuno in quella casa nasce
-dicon due mani intrecciate-
son comete discrete quei fiori
lasciati appostati 
per pastori urbani, 
per cibernetici re Magi;
qualcuno in quella casa è triste
-dice un occhio solo-
sono amori prosciugati
margherite non riuscite
la rabbia a volte è rassegnazione bianca;
qualcuno in quella casa è felice
-dice un bacio ramingo -
furon lasciati fuori -i fiori-
perché in due s’amarono
e non vollero testimoni; 
qualcuno in quella casa muore
-dice un braccio teso-
quei fiori sono remi -crisantemi-
traghettano passanti ciarlieri 
distaccano da un corpo i pensieri.

Quattro fiori bianchi a una finestra 
sono stesi. A me viene di soffiar forte
e vedere cosa tiene:
così a poco a poco la vita si sfoglia
balugina tra il vento il dolore, 
si srotola al sole la gioia, un momento,
infine a lungo non dura la morte,
si stacca dal gambo, ruzzola al cielo,
difficile dire prima dov’era, se c’era:
dimenticare è un movimento
che col restare poco ha a che fare.

Di tutto restan quattro steli
seduti come vecchi attorno a calici fieli 
brindano con mute parole
alla loro radice recisa, lontana:
l’Amore.

(Quattro fiori bianchi
stan fendendo il ghiaccio
di un campo
sembrerà forse crudele
vado a reciderli 
ricomincio la tela)