sabato 22 dicembre 2018

Un albero

Ma salvatemi un albero
salvatene uno col tronco nodoso
e molte radici a vista
(pilastri, colonne di travi rampicanti).
Uno di mille anni 
o di mille giorni
con molte iniziali d’amori
(rigorosamente finiti,
votati all’eterno)
incise tra i rami
uno che stia al margine perfetto
del bosco
fra l’andare e il mai tornare
(o perdersi)
con spazi tra le foglie 
per filtrare soli e lune
(e abbondanti piogge)
che sia sipario notturno
di qualche segreto
(silvano o umano).
Possono appassire i giorni comuni
(di più ancora quelli straordinari)
ma scriveteli su un albero
e lasciatelo intonso
seppur molto ricurvo 
pieno di affanni.
E se vi lascia qualcosa nell’humus
non chiamatele noci o castagne:
sarebbe ingiusto.
È il tempo solenne dell’albero
che casca nel geometrico disordine 
di planimetrie selvagge
(i punti cardinali delle volpi e dei pettirossi).
Salvatemi almeno la lentezza di un albero
scarno e malfermo, 
ne voglio uno che perda ogni anno
tutte le foglie
uno di quelli che sanno, 
che la vita è un bosco 
e la morte quel pezzo di cielo
 plumbeo incastonato 
tra un ramo dritto e uno storto.