sabato 25 ottobre 2014

Se tu sei tu

Se tu sei tu
e non qualcun altro

Se tu sei tu
e non quel fantasma senza occhi
il mantello che ti avvolge
tra la colpa e il pensiero

Se tu sei tu
la foglia che cade lungo il mio ramo
che con la discesa
scava parole sulla scorza del freddo
e sulle radici si acquieta
gialla con zigomi rossi


Se tu sei tu
e non lo spazio
tra te e me
quello spazio denso e nero
quello spazio che non c'è
che non è vero 

Se tu sei tu
il colore leggero
che cancella tra le cose
gli steccati del tempo
la non-gravità di una Luna
pure attaccata a un cielo spento 

Se tu sei tu
e non qualcun altro

se lo sei davvero
allora non ho paura 

del tempo contratto
di questo sogno astratto
dell'autunno in atto
ché contratta è la vita
astratto ogni sogno
e l'autunno inciampa in ogni anno
il fiore appassisce
ma -se tu sei tu e non qualcun altro-
non lo vedi?
in nuove forme rifiorisce

8 commenti:

  1. Mi permetto, Alice, di segnalarti un film d'autore (a mio avviso molto bello, particolare e poetico), che mi sembra, nel suo significato essenziale, affine a tematiche presenti in questa ed altre tue liriche.

    Mi è tornato in mente, appunto, leggendo questi versi.
    Si tratta di "Ferro 3 - La casa vuota" del regista coreano Kim ki-Duk, forse l'apice della sua parabola artistica (credo non ti sarà difficile reperirne una versione in italiano, altrimenti posso darti qualche indicazione utile), se già non lo conosci.

    E' tutto, ora ti lascio un po' in pace.

    Un cordiale saluto.
    Marco

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  2. No, non lasciarmi in pace!!! Grazie per il suggerimento, lo cercherò :)

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  3. :-)
    ...sei anche simpatica!

    Quando mi trovavo in Germania (donde il nick "Kumpel" cioè "compagno"), sulla porta della mia stanza avevo affisso un cartello, che traduceva in tedesco:
    PLEASE DO DISTURB!

    .................

    «Ferro 3 - La casa vuota»

    STREAMING (devi cliccare sulle "X" rosse che compaiono al centro del riquadro , e quindi normalmente cliccare la freccia del "Play"):
    1* tempo: http://tinyurl.com/l5rgy6e
    2° tempo: http://tinyurl.com/n6buegm

    DOWNLOAD:
    http://tinyurl.com/jwc8xwj

    Ho "nascosto" l'URL effettivo, ma - per non creare al tuo blog problemi di natura poco "poetica", non me lo perdonerei mai! - ti suggerirei di cancellare il presente mio commento, una volta che ti sarai annotata i links... non si sa mai).

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    1. Visto ieri il film. Superbo suggerimento, grazie Marco!

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  4. Ciao Alice... mi eri tornata in mente proprio qualche giorno fa, senza un perché (Jung parlerebbe di "sincronicità", giusto?).

    Il tuo positivo riscontro mi fa molto piacere: non tutti apprezzano quel tipo di cinema, ma a me piace tanto (altre opere di ki-Duk non hanno, forse, la grazia e la delicatezza raggiunta in "Ferro 3"... ma alcuni li trovo comunque validi, per es. "La samaritana", specie la seconda parte ed il finale, "Crocodile" film d'esordio, e forse l'altro momento di eccellenza toccato con "Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera " di cui trovo toccante in particolare il finale e l'omaggio silenzioso al maestro di vita da parte del giovane monaco ormai adulto, interpretato dallo stesso regista... una scena che egli ripropone, in modo molto struggente, nell'autobiografico docu-film "Arirang"...mentre altre pellicole come "Pieta" non mi han convinto del tutto, infine "Moebius" può forse sconcertare per la "oscenità" e scabrosità dei temi, ma se letto in un'ottica tragica - nel senso greco del termine - forse assume un significato alto, ed anche psicanalitico: la chiave di tutto, forse, è proprio nel titolo ossia la dinamica di movimento figurata dal "nastro di Moebius"...).

    In ogni caso, la "violenza" mostrata (mostrata soprattutto nascondendola o evocandola) nei suoi film è più "metafisica" che "fsica": come ki-Duk stesso si espresse:
    «L’odio di cui parlo non è rivolto specificatamente contro nessuno, è quella sensazione che provo quando vivo la mia vita e vedo cose che non riesco a capire. Per questo faccio film: tentare di comprendere l’incomprensibile».
    Tu saprai darne senz'altro una lettura originale, dal tuo punto di vista privilegiato...

    Ma basta così, sto esagerando nell'abuso della tua gentile attenzione.

    Grazie, a risentirci... chissà.
    Marco

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    1. Penso scriverò qualcosa su Ferro 3 appena ne avrò il tempo. Ho scoperto che mi piace anche un po' "recensire", fa parte del mio mestiere smontare un'impalcatura così come l'artista tenta di smontare il mondo per inglobarlo in una scena. Difficile il rapporto tra moltitudine e individuo, proprio come tra mondo e scena, una sorta di olatonismo al contrario (perché la scena dovrebbe essere più perfetta e assoluta dell'elemento da cui è tratta). Ti informerò quando avrò scritto, mi dirai se vorrai cosa ne pensi. Un saluto

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    2. Sono lusingato dalla tua attenzione (ma non ho, in realtà, motivo di esserlo, perché il merito è tutto di ki-Duk...).
      Attendo con vivissimo interesse il tuo lavoro sul tema, quando avrai tempo (sai quanto ti stimo e quanto tenga in considerazione il tuo punto di vista).

      Mi limito a accennare brevissimamente alcuni pensieri, che mi solleciti con le tue interessanti considerazioni "anti-platoniche".
      Platone è uno di quei pensatori che non è alle nostre spalle, ma ci sta ancora "davanti"...

      L'idea della costruzione scenico-cinematografica (in generale "poietica") come una tensione dialettica de-costruttiva mi trova d'accordo.
      Potremmo dire - parafrasando E. Severino, ma a prescindere dalla sua impostazione speculativa - che ogni "cerchio dell'apparire" (leggi anche: scena, inquadratura, punto di vista) è tale come "divisione di un intero" (ad essere rigorosi, non ha senso dire "un" intero, ché è sempre "lo" intero ut sic, uno ed unico, o non è "intero" affatto).
      La domanda è: qual'è lo statuto di tale divisone? ma soprattutto, è possibile? (ossia: che intero sarebbe un intero che si lasciasse dividere, partizionare?)
      Allora, si dirà, se la "parte" è impossibile, abbiamo sempre e solo a che 'vedere' con l'intero!
      Assolutamente no, proprio perché l'intero non può essere dato (veduto, oggettivato): per esser dato, dovrebbe darsi/apparire a qualcosa o qualcuno che non fosse l'intero... e che, quindi, dovrebbe averlo previamente già diviso ( = distinto da sé, quale termine dell'apparire): ma non si diceva che la divisione dell'intero-indivisibile è impossibile?

      Vi è un senso per cui - ed è il motivo per cui mi piace il cinema - il cinema ha una potenza, quasi un'esigenza vitale di essere "negazione" del mondo [il mitico Ghezzi parlava una volta, nei suoi soliloqui notturni a tratti geniali, della inquadratura come un atto di "violenza"]: in un certo senso l'antiplatonismo - che tu con valide ragione rilevavi - si rovescia, dire si deve rovesciare, dialetticamente in un platonismo purissimo.
      Ovverosia:
      l'inquadratura cinematografica (ma anche una lirica) si pone come la "idea" platonica del mondo, non come una sua porzione cioè, bensì come il "paradigma" assoluto del mondo (di questo come di ogni possibile mondo).
      Per questo "deve" essere perfetta, o non è affatto... ma se è perfetta, significa che solo essa "è" e che, quindi, il mondo non può (più) "essere", per quanto ovviamente continui ad "esistere"; insomma, se l'idea sola è vera, allora il mondo non lo è più [col che, però, saremmo tornati da Platone a Parmenide: il mondo è impossibile, non risulta più concepibile in sé, pensabile in senso autonomo...]
      1/2

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  5. La dinamica intero/parti è la medesima del rapporto uno/molti, come tu acutamente vedi.
    Volendomi "contenere", mi limito a provocarti con la seguente domanda: è pensabile un "rapporto" TRA uno e molti, intero e parti?
    Se vuoi - sempre sfruttando un plesso teorico da te messi in campo - è possibile una "relazione" TRA assoluto e relativo? ( = tra il tutto e le inquadrature che, essendo strutturalmente limitate quindi finite e parziali, non possono cogliere il tutto, eppure - come tu dici, ed in ciò mi trovi con te - non possono non tendere ed in-tendere di essere, per così dire, più assolute dell'assoluto...).
    Ma come si può restituire l'assoluto non essendo assoluti? E come si può non intendere di restituirlo, dal momento che l'assoluto è assolutamente imprescindibile (innegabile, necessario)?

    A ben vedere, "tutto" (appunto!) si gioca qui... ed è un punctum tragico, in senso classico greco (in cui necessità ed impossibilità sembrano toccarsi e confondersi): questo punctum ambiguo e ancipite siamo, in fondo, platonicamente noi "uomini".
    In termini kantiani: il cinema, la tua stessa poesia sono la "folle" eppure "insopprimibile" intenzione di rendere 'fenomeno' il 'noumeno', di far apparire la cosa in sé, che non può apparire (contravvenendo al divieto del pensatore tedesco che stabiliva, appunto, che "il fenomeno non è e non può essere il noumeno", e viceversa).
    Ma avremo modo di discuterne.

    Un cordiale saluto, e grazie (come sempre, proprio "brevissimo" non sono stato...)
    Marco

    P.S.
    Visto che le notifiche del blog non sono sempre "costanti" e vista la mia non proprio assidua frequentazione di Fb (a cui mi sono iscritto principalmente per partecipare ad un Gruppo di discussione ivi creato da amici), se vuoi puoi anche scrivermi direttamente per mail, l'indirizzo è il mio nome.cognome@gmail.com
    Ma, magari, nel frattempo inserirò sul tuo Fb una mia impressione - puramente personale e senza alcuna pretesa esegetica, ovviamente - a margine della tua ultima lirica pubblicata, molto bella e molto ispirata.
    2/2

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