giovedì 2 luglio 2020

Preghiera

E pur non sapendo
se vi sia per i morti
una carta dei diritti
e dei desideri,
questo sin d’ora io chiedo:
un giorno all’anno
-espresso in tempo terrestre-
far ritorno alla terra
-io venti, io sibilo, io in qualcuno ricordo-
sulla casa d’infanzia posarmi 
aprire il tempo d’una umida credenza
correre poi tra fruscii, spaventi, spighe
fermarmi infine
mani in testa, cuore in gola
-o un suo equivalente celeste-
per le tante troppe cose 
da rivedere: chi fui,
ove andai, come non mi bastò
quella vita. 

Nostalgia, 
Io chiedo sin d’ora,
questa gravità dolce 
che mi attacca
come un muscolo
alle ossa delle cose.

Ché già mi manca
-lo sento sin d’ora-
l’odore di giugno e di fieno
la coda del piovasco
che lascia il cielo sereno.
Mi manca, giallo, 
il maggiociondolo del pensiero
che va e viene
fior di vento
abbraccio e addio.

Manca già questa mancanza
di pareti scarne 
sul limitar del mio mondo:
recinti, campanili, voci 
tranquillizzanti ritorni
di fiori: tu, ibisco,
al centro del prato
e tu, aquilegia, 
porpora ai miei piedi.
E non ti scordar di me,
minuto azzurro rimpianto,
riempi le crepe 
tra i miei scalini celesti, 
devo andare anche io
in una terra eterna e piatta.

E Tu,
preposto ai grandi ordini
e ai più grandi disordini, 
ascolta ciò che sin d’ora io chiedo:
tornare, se posso,
in forma celeste
a quest’ora terrestre
che bruna si disfa. 
E rinasce.
Tornare, sì, 
sui miei passi,
tra cose, 
tra punti e croci, 
tra case. Tornare, certo,
là dove sono già stata.








martedì 17 marzo 2020

Venerdì 13 marzo 2020

Quinto giorno di quarantena collettiva concluso.
Stranamente mi viene da pensare a qualcosa di dolce. Sarà forse il buio spesso fuori dalla finestra, l’irreale silenzio del venerdì, quel desiderio di toccare -toccare oggetti, braccia, mani, cibo-, un desiderio di concretezza e compimento... sarà forse che l’attesa è per ora l’unica forma di compiutezza rispetto all’incertezza e che l’immaginazione è l’unica forma di conoscenza... la mia immagine dolce di stasera, di me stessa, della città dormiente, del mondo malato o che attende di esserlo, è di una grande gestazione collettiva. Siamo gemelli diacronici chiusi in un grande sacchetto amniotico. Ci culla una paura. Spaventandoci ci protegge con una pellicola. Sentiamo le sue vibrazioni nel nostro corpo. È la nostra prima coscienza. Ci tiene la testa, ci preserva dagli urti. Ci infila negli occhi il sonno. 
“Dormi, attendi, sogna”, ci dice, con le sue mani piene d’artigli. 
Muoverci è fatale. Non siete pronti, ci instilla il dubbio. E d’improvviso la nostra pelle sembra inverosimilmente porosa, gli occhi fatti di una materia acquea. Le ossa non sostengono. I muscoli si fanno sottili. Non siete equipaggiati, ci fa risuonare in testa. 
“Dormi, attendi, sogna”, ci soffia un vento nero nelle orecchie.
Ci rassegniamo al sacchetto, il movimento diventa un pensiero, il mondo è un’attesa, di nuovo, come accadde molto tempo fa. A ognuno viene dato un narratore: “pensa a quando...”, comincia la storia.
E allora fili d’erba e acquitrini, fiori dai lunghi steli e montagne. Ma non siamo proprio sicuri. Il narratore ci convince: le vedrai, le annuserai. E grandi tronchi, strade, corsi d’acqua. E più bello ancora: la voce del narratore che diventa carezza. Perché il narratore è la persona che ti ama. Insieme, insieme, dice, da dietro il vetro. Un giorno berremo dalla stessa bottiglia. Avremo le punte del naso molto vicine. Pensa a quando, continua. Quando il pane e il vino. Quando una piazza con mille persone. Quando un tuffo da uno scoglio. Pensa a quando. Fai uno sforzo, perché tu non conosci niente, lo devi immaginare. Quando una stuoia e un cielo. Quando vuoi una fetta della mia pizza. Quando i colori spessi che colano giù da un muro.
Ti racconta queste cose il narratore e tu ti capovolgi un po’ dentro il sacchetto. Ti nutre attraverso la corda che vi unisce. Pensa-a-quando è una corda di vene e arterie, dirama storie, accende fasci nervosi. Scalci. Vorresti andare dal tuo narratore.
“Dormi, attendi, sogna”, impera la paura col suo alito nero. Ti fai indietro. Aspetti. Pensa a quando. Un foglio di giornale tra le dita, ti cade una moneta, la raccogli, ti compri una mela. La mordi. Pensa a quando sarà tempo. E ri-nasci.




sabato 29 febbraio 2020

Chiostro

Sulla cresta di questa paura 
dove passano ornitomanti incappucciati
e brune si stagliano le vette
di pensieri tutti uguali
se l’amore è una preghiera 
io aspetto il tuo palmo
col mio palmo spaiato
a fare da scudo a un mondo stregato.

Sulla cresta di questo tempo
di orizzonti moribondi 
e sempreverdi
se è una preghiera l’amore
mi manca il tetto del tuo corpo
per fare del cielo
una volta di biancospini
a difenderci
da esalazioni atmosferiche 
di astri cattivi, senza respiro.

Sulla cresta di questa incertezza
sotto di noi gineprai ossuti
e carestie e uomini che non si fidano 
degli uomini.
Ma, se tu vieni,
avremo almeno una mano giunta 
un tetto di corpi e biancospini
e in un silenzio austero
raccoglieremo un’acqua chiara
di sorgente
e ripeteremo sussurrando appena
la nostra formula vera
che l’amore è un chiostro
gli amanti monaci
e gli incontri preghiere.



Ph. Pallaris