al quarto mi alzerò
sperando sia tra molto
moltissimo tempo.
Sto indugiando
nel corpo mio notturno:
è di tutt'altra specie
in azione volge i pensieri
cupi o allegri.
Sette zampilli alla finestra
ormai all'ottavo mi alzerò.
Devo sapere come va a finire
quel racconto del cerbiatto
che fu cacciato
con tutti i cuccioli nel grembo.
E mentre io lo rianimavo
tu, in silenzio, alle mie spalle
guardavi
con gli occhi spenti
come quegli angeli
che scrutano il Male
e lo ammorbidiscono col fiato
e i passi e il vento
s'una terra cava e nera
che riecheggia gli spari
e allunga le ombre
a dir quasi che nelle ombre
va calcolata l'importanza delle cose:
e guarda infatti
che ombre grandi!
che corpi piccoli!
Nove zampilli alla finestra
dev'esserci un buco sulla grondaia.
Verrà qualcuno a ripararla
sino ad allora il mondo non è pronto,
mi convinco,
per esser calpestato:
perciò al decimo mi alzerò.
Sto indugiando nella brughiera
sul corpo pieno di corpi
che è stato cacciato
e non si rianima.
"É una strage", ti dico.
Una strage che muoia un corpo
con dentro altri corpi.
Tu rispondi, senza parole
"è la vita".
Poi svanisci.
È una strage, continuo a dire
mentre muoio da un lato
col mio involucro notturno
esanime sulla terra nera
tutt'ombra sulla montagna scura.
E nel mio corpo spira
l'immagine del tuo
così a lungo portato.
Undici zampilli alla finestra
e quindi la quiete:
il numero è perfetto,
il buco riparato,
conferma che tutto è spirato
in sintonia
in questo mondo e nell'altro
e così sia.
Mi alzo, lavo e vesto
il mio corpo vuoto del risveglio:
è una strage, dico a te assente,
che muoia infine anche il ricordo
-quel feto in grembo alla lunga storia-
mentre foro di nascosto
la grondaia.
A cento zampilli almeno
voglio arrivare
prima di saperlo.
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