lunedì 21 dicembre 2015

Io appena, col mio albero imperfetto

Ah! essere un albero!
e la memoria avere
a cerchi concentrici
accrescersi contenendo
anziché espellendo
forme passate
e poi intersecarsi, con fitti rami,
a lune e allodole
sbrinare con foglie e frutti
i vetri invernali del cielo.
E poi far da nicchia
a grilli e scoiattoli
o esser tana segreta
d'un bimbo mutacico
che però legge molto
aggrappato al mio tronco.
Alle nubi aggrapparsi
come a un'altalena
grondarle d'acqua
e ridere di tuoni,
che possano poi andare,
loro che questo hanno scelto
di mestiere: mai rimanere.
E dall'alto sembrar corolla
d'un grande fiore, la terra,
e custodirla dai soli
e dai molti astri
che incuriositi a turno
si sporgono a vedere.
E spingersi a fondo
con molte radici
nei nuclei più densi
e lì saper permanere
mai fugace come l'uomo
che lascia di sé solo il suo seme
dopo aver amato breve.
Mutuamente scambiare
cielo e terra
e con questo dire
un grande amore,
dal profondo attingere
per poi alleggerire
con quote aeree che s'intersecano
e far di tutto
passato e presente
terra e aria
morte e vita
l'equilibrio di un lungo vento.

E esser invece io appena,
senza altezze per la luna
tronchi per la memoria
radici per l'amore:
la terra, forse,
a cui scelse Dio
di non donare il suo albero.

Così imperfetto è il mio:
qualche verso strambo 
d'una solita poesia.



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