martedì 17 marzo 2020

Venerdì 13 marzo 2020

Quinto giorno di quarantena collettiva concluso.
Stranamente mi viene da pensare a qualcosa di dolce. Sarà forse il buio spesso fuori dalla finestra, l’irreale silenzio del venerdì, quel desiderio di toccare -toccare oggetti, braccia, mani, cibo-, un desiderio di concretezza e compimento... sarà forse che l’attesa è per ora l’unica forma di compiutezza rispetto all’incertezza e che l’immaginazione è l’unica forma di conoscenza... la mia immagine dolce di stasera, di me stessa, della città dormiente, del mondo malato o che attende di esserlo, è di una grande gestazione collettiva. Siamo gemelli diacronici chiusi in un grande sacchetto amniotico. Ci culla una paura. Spaventandoci ci protegge con una pellicola. Sentiamo le sue vibrazioni nel nostro corpo. È la nostra prima coscienza. Ci tiene la testa, ci preserva dagli urti. Ci infila negli occhi il sonno. 
“Dormi, attendi, sogna”, ci dice, con le sue mani piene d’artigli. 
Muoverci è fatale. Non siete pronti, ci instilla il dubbio. E d’improvviso la nostra pelle sembra inverosimilmente porosa, gli occhi fatti di una materia acquea. Le ossa non sostengono. I muscoli si fanno sottili. Non siete equipaggiati, ci fa risuonare in testa. 
“Dormi, attendi, sogna”, ci soffia un vento nero nelle orecchie.
Ci rassegniamo al sacchetto, il movimento diventa un pensiero, il mondo è un’attesa, di nuovo, come accadde molto tempo fa. A ognuno viene dato un narratore: “pensa a quando...”, comincia la storia.
E allora fili d’erba e acquitrini, fiori dai lunghi steli e montagne. Ma non siamo proprio sicuri. Il narratore ci convince: le vedrai, le annuserai. E grandi tronchi, strade, corsi d’acqua. E più bello ancora: la voce del narratore che diventa carezza. Perché il narratore è la persona che ti ama. Insieme, insieme, dice, da dietro il vetro. Un giorno berremo dalla stessa bottiglia. Avremo le punte del naso molto vicine. Pensa a quando, continua. Quando il pane e il vino. Quando una piazza con mille persone. Quando un tuffo da uno scoglio. Pensa a quando. Fai uno sforzo, perché tu non conosci niente, lo devi immaginare. Quando una stuoia e un cielo. Quando vuoi una fetta della mia pizza. Quando i colori spessi che colano giù da un muro.
Ti racconta queste cose il narratore e tu ti capovolgi un po’ dentro il sacchetto. Ti nutre attraverso la corda che vi unisce. Pensa-a-quando è una corda di vene e arterie, dirama storie, accende fasci nervosi. Scalci. Vorresti andare dal tuo narratore.
“Dormi, attendi, sogna”, impera la paura col suo alito nero. Ti fai indietro. Aspetti. Pensa a quando. Un foglio di giornale tra le dita, ti cade una moneta, la raccogli, ti compri una mela. La mordi. Pensa a quando sarà tempo. E ri-nasci.




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