domenica 4 gennaio 2015

Strappato a mano, riattaccare a mano

Non so come, eppure ti ho visto tutto a pezzi, come un puzzle, tra mattoni di Ponte Vecchio e caldarroste, gingilli e stoffe al ricamo di bancarelle, assurdi intonaci scrostati di un vicolo che prometteva di portare alla casa di Dante -ma mi son persa prima, in una selva oscura-, David troppo scultorei per essere belli davvero -amo una bellezza meno pronunciata- e poi strati di freddo su acque olivastre e case sepolte dalle foglie per strade in salita -che angoscia, che angoscia il buio delle 16 e le ville antiche coi cancelli sprangati e corrosi di rampicanti- e il venditore di almanacchi, hotel di lusso e affittacamere improvvisati.
E così, ti dicevo, ti racconto, ti dico a distanza, ti ho visto tutto a pezzi: occhi di qui, capelli di lì, mani a destra, piedi a manca. 
Ogni tanto m'impigliavo in un particolare di te, gli dicevo due parole e poi non sapevo bene come fare con quei capelli che erano rami intricati e rimanevano svolazzanti a qualche metro da terra, con gli occhi di quella venditrice di saponette artigianali che avevano proprio quel tuo medesimo taglio e colore degli occhi, seppure infossati in un viso di moltissime rughe e stropicciati da mani con molti segni di lavoro, e io che indugiavo con la saponetta in mano e magari ne prendevo un'altra pure, guadagnandomi qualche altro tacito istante di serrato dialogo -velati di malinconia come sempre e hanno un profumo di bambù, i tuoi occhi, ma non chiedermi com'è il profumo di bambù-. 
E vogliamo parlare delle sopracciglia -quelle inconfondibili sopracciglia marzoline (ma non chiedermi come siano delle sopracciglia marzoline)- che si erano impigliate alla fronte così poco nobile, alta, rozza e sudata del panettiere, che sfornava il pane alle 6 del mattino e diceva bischerate e in niente era te, eppur ti aveva rubato le sopracciglia con così tanta nonchalance e le aggrottava al tuo modo tra i fumi del forno, le fragranze assonnate, la pesantezza del grigio attaccato ai muri -restituiscimi, restituiscimi quelle sopracciglia, stupido ladro, mi veniva da dirgli, mentre indietro avevo solo pane e ancora pane e al massimo una focaccia altissima che non è focaccia ma-me-ne-dia-altri-tre-etti in cambio delle sopracciglia-.
E in me si costruiva una mappa trasognata, tutta traballante, mi accingevo a ritagliare alberi e visi, così sarà capitato a Picasso un dì, pensavo, io non sono Picasso ma devo fare un collage di passi e di abbracci e di visi e visuali, così ti avrò mezzo intero su un pezzo di Arno, ma dove la trovo una bocca che sia la tua bocca, accidenti. 
E vuoi dire davvero che in quella libreria che fa angolo, tra scaffali di libri in disuso con la copertina tutta scolorita, non avrei trovato, ormai rassegnata a lasciare sopracciglia e occhi al bambù nelle loro lontane troppo umane dimore, l'inconfondibile impronta vocale di quel'"ah", palmo di mano sulla fronte, testa reclinata all'indietro e frase pronunciata veloce, con le parole tagliate sulla cima, con un accento d'improvviso meno volgare. 
Proprio lì stavano queste cose, su una testa qualsiasi che sbucava tra scaffali impietriti e crepitio di pagine girate convulsamente, una testa che non aveva a parte questo -quell'ah, palmo di mano sulla fronte, testa reclinata all'indietro e frase pronunciata veloce, con le parole tagliate sulla cima- niente, ma proprio niente di bello e di tuo e anzi, un profilo camuso, appesantito di noia, bluastro di sigarette, flaccido di vizi. Gli avrei soffiato via tutta la pelle, strato per strato, ma che dico soffiato, gliela avrei graffiata via con rabbia, per conservare il gesto soltanto con la sua parola tagliata in cima, come quei pennacchi sulle maschere tribali, totem improvvisato tra folli analogie e arguti scribacchini... cos'è una poesia se non tagliare via strato per strato tutto ciò che è accessorio nel mondo, cancellare con una gomma i visi bluastri e flaccidi, da scaffali di parole estrarne una, sospenderla sopra tutti i tetti  rossi, i campanili rotondi, le soavi perfezioni dei David, il silenzio delle acque olivastre e dei ponti vecchi e giovani, tentennarla come pendaglio apollineo, così avrei fatto con quell'"ah", palmo di mano sulla fronte, testa reclinata all'indietro e parole veloci tagliate sulla cima. 
E così avrei fatto con l'alzata di spalle e allargamento di braccia della receptionist -pallida, magrissima, con grandi occhi scuri - quando ha realizzato che non funzionava il bancomat - e non avevano niente di tuo i denti un poco storti, gli occhi strabuzzati, la bocca scocciata, le mani e la tempra nervose, però quell'alzata di spalle e allargamento di braccia valeva molti altri tentativi col bancomat smagnetizzato, molti altri sbuffi d'impazienza e aggressività sottile mascherata sotto un cordiale sorriso, provi ancora, per piacere (e allarghi le braccia di fronte all'insormontabile difficoltà, su, cosa aspetta?, lei ha il gesto giusto, è la mia improvvisata marionetta e dunque, dunque cosa sta aspettando?)
E ugualmente avrei riportato indietro, come improvvisa scena al rallentatore, il distratto guidatore che ha strisciato ambedue le fiancate contro il muro troppo stretto del vicolo, avanti e indietro, con tanto stridore; la risata sonora del bambino che si sentiva a distanza -quella medesima risata infantile che farfuglia parole e non sa smettere più e quindi per almeno un minuto e venti secondi nulla di male e irreparabile potrà accadere, quella risata che è la tua corazza e corazzava il bambino come un piccolo guerriero di latta-; e il ritrattista che mi voleva ritrarre e nel chiedermelo ha poggiato la sua mano sul mio polso, per richiamare la mia attenzione, qualche istante appena per poi trarlo via, proprio come te -ma non aveva niente di te, lui con i lineamenti sgarbati e una matita troppo pesante, però quattro volte me lo son fatto chiedere fingendomi straniera tra stranieri e anche stavolta avrei estratto la forma dell'aria sopra il mio polso levigata dalla mano imbronciata, quella soltanto-. 
E tutto avrei aggiunto a quel ricco bottino di te tutto a pezzi, di te che non ci sei, così ti devo cogliere come le margherite e poi strappare i petali alle margherite -ma no, non avrei il coraggio di "m'ama, non m'ama", solo i petali senza domande-, sparpagliarli qua e là e poi riandarli a cercare.
Però ho scritto sopra a ogni petalo: "strappato a mano, riattaccare a mano", così so che nessun altro si cimenterà nell'impresa.

P.S: come avrai notato, la tua bocca - o meglio: quell'angolo della tua bocca- non l'ho trovato da nessuna parte.


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