martedì 7 luglio 2015

Una poesia privata che però non è dedicata a nessuno

Immagine di Valentina Luberto

Una poesia privata, che nessuno la guardi e la usi per qualcun altro, che nessun avventore si senta illegittimo destinatario o altri secoli e altre storie vi si amalgamino dentro.

Una poesia esausta, è una vecchia con un otre di capra -povera capra-, un musicante con la cornamusa, un forestiero all'osteria, la Melina Riccio con i fiori in testa, un russo che gioca a scacchi sul ciglio della strada.

Una poesia piccola e senza gloria, senza rime, un po' vana e un po' vanesia.

Vorrebbe essere un piccone, per lasciar segni nelle rocce. 
O un tasto sonante, una corda di chitarra, un'impastatrice, un campanello. 
Un clic meno melenso, un on-off, una vidimatrice, un cappello.
Qualcosa di utile, per cui tornare indietro quando si è in ritardo -una chiave, ecco sì, una chiave.

Invece è solo una poesia, nascosta nello spazio tra te e me, come nel folto di un bosco inventato.
La tira svogliato ai passanti il saltimbanco dei baci:
"Costa solo un bacio, signore, sporgetevi!", dice con un accento napoletano.
Io gli tiro una gomitata, non sta bene svendere le poesie.
"Ehm, ehm, un bacio a verso, volevo dire."
"E quanto è lunga questa poesia?", chiedi allora incuriosito.
"Ma quanto volete, signo'!"
Altra gomitata: è lunghissima, gli bisbiglio!!!!
"Cioè, è lunghissima, ma noi la vendiamo pure al taglio! Ne volete assaggiare una fetta? Prego, prego, favorite!"
Ah, questi napoletani!

È solo una poesia, ma ti disegna la notte sulle scarpe. Allunga le ombre, agita i silenzi sbilenchi dei lampioni ubriachi, ti lascia sotto casa una ventiquattr'ore bianca -si, come nei film-, aprila. Anzi, aspetta ad aprirla. 
Prosegui ancora un tratto, sotto la linea dei panni stesi: oscillano all'unisono da un filo bianchissimo, sembra attaccato ai due lati del cielo scuro, in effetti non ha partenza né arrivo in alcuna finestra, tetto, coperchio di sonni, almanacco di notti estive.
Prosegui, prosegui, ti vedo, sorrido: stai diventando la poesia, già, proprio tu con la ventiquattr'ore bianca, stai diventando il verso

Aveva un filo sopra la testa 
e la testa erano i suoi piedi

 (Ora dovrei farti pagare un bacio, anzi due, ma come posso farti pagare la poesia se la poesia sei tu?)

Andiamo avanti. 
La testa sono i tuoi piedi, i piedi sono la testa, ti guardo sottosopra, ecco perché hai la testa fra le nuvole. 
Vana, vanesia questa poesia, vorrebbe essere uno strumento più dignitoso, ma ti mette un cappello, suona note distratte, una ballata triste lungo la linea del bucato e i panni si alzano contro la gravità, diventano note, ti vola in mano un biglietto e una vidimatrice con le ali passa a segnare l'ora: ore 1,54 di una notte di poesia qualsiasi, scrive sul biglietto.
Ora puoi assistere allo spettacolo di te che diventi una poesia.

"Ne volete ancora?", dice allora il saltimbanco dei baci, mentre spruzza di blu un palazzo grigio, ci soffia contro tronchi di bianche betulle e crea un palco illusorio dove passano in fila scoiattoli azzurri, dove sibilano i cuculi, sbadigliano i ghiri, stanno sberluccicanti le lucciole e altri animali notturni. 
Mi pare che tu annuisca, ti piaci sempre quando diventi una poesia, e allora t'inoltri nell'illusione del bosco di betulle, mentre intorno crescono a dismisura in altezza i palazzi, diventano grattacieli.

Sulle betulle continuo a incidere versi, te li lascio sparsi come un puzzle, tu ridi che sembri un bambino 

Aveva un filo sopra la testa
e la testa erano i suoi piedi
funambolo del buio coi piedi per terra
perciò si sentiva sicuro

E poi ti sussurro, con un vento parlante, che non ti scrivo più poesie perché non mi esercito sulla tua pelle. Al massimo, ti guardo e scrivo te, ti stampo senza sgualcirti.
Perché, sai, c'è un campo dove sfioriscono le poesie.
Sì, da quella parte, vai.
Ti tocca il ramo secco di un fiore di pesco, uno scheletro di cuor di leone, l'ultimo petalo morente di una violacciocca, la spina sgualcita di una rosa.
Ti sei inciampato in una corona di anemoni imploranti acqua, mi spiace. Non volevo.
Ti rialzi. 
Bella, bella la notte, continua a portarti lungo il suo filo di panni stesi. Ora son nuvole, piovono giù, innaffiano i fiori. 
Sei arrivato, che ti dicevo? 
Sapevo che sarebbe piovuto giù tutto il bucato.
Quei fiori son tutte le poesie che non sono persone. Son le poesie che voglion essere poesie, le signore poesie, le grandi poesie. Perciò muoiono: non hanno le gambe e non hanno la testa, non hanno gli occhi, le mani, il naso, i capelli. Non vanno, non hanno paura, non sentono il vento e neanche la pioggia.

"Volete sapere come va a finire, ià?"

Oh secondo me... si!
Perché tu sei curioso e ora sei proprio l'uomo-poesia, ti ho messo pure il cilindro in testa e sei caduto tra gli anemoni e tutt'intorno son grattacieli altissimi e piccole esili betulle bianche e fili sospesi con bucato cangiante e questa poesia è vana e vanesia e ti dice, adesso: "apri, dai, apri la ventiquattr'ore".

"Su, non abbiate paura", strizza l'occhio il saltimbanco dei baci.

Arriva una mano da prestigiatore con un guanto giallo fosforescente, cade in volo per tutto il cielo notturno, sembra una mastodontica piuma volteggiante, gira la serratura, compone il codice di apertura, la apre: è vuota ma parla.

Sono io che ti parlo, che sempre ti parlo, mentre si ridestano gli anemoni e i cuor di leone e a poco a poco diventano te, un campo di te: te triste e te allegro; te che vai e che vieni; te che ti dimentichi e poi ti ricordi; te che ami e non ami, come i petali delle margherite; te che leggi avidamente; te che parli e parli il pensiero che si forma, fai i petali istantaneamente; te che perdi tempo e poi lo insegui. Ondeggiano all'unisono tutti questi steli con sopra il tuo volto, sei circondato da te come io ti vedo -ora capisci perché mi piaci? Sei tanti, tantissimi, non mi annoio mai- e un grosso pennino scende dal cielo, s'intinge in ogni corolla e poi scrive. 
Ma poi via, saltan dentro all'unisono nella ventiquattr'ore tutti i fiori-te, e con loro le betulle, il cielo notturno, i grattacieli, le nuvole e le note, la vidimatrice e i biglietti, il tuo cilindro, il pennino, il saltimbanco dei baci e anche i baci, si baciano all'impazzata a mezz'aria prima di esser risucchiati in valigia -sembrano pesci che mordono un acquario-, e poi giù anche le finestre illuminate, i camini, il silenzio avvolgente -è un grande mantello-, gli uccelli variopinti e gli aironi rosa -ma da dove sbucano?-, i musicanti e gli artisti di strada con i fiori in testa, le lampade e i pendoli, la mia tristezza e la tua che un po' si assomigliano, i miei sbagli e i tuoi che non si assomigliano mai -ti prego, incontriamoci di nuovo in uno sbaglio, era un posto così bello!-, le mie mani e le tue che qualche volta si trovano, e poi... poi qualche altra cianfrusaglia.
Ora ti dico che basta agitare la valigia, sfregarla un po' tra le mani e la poesia è fatta, c'è tutto o quasi: aggiungerei forse un corso d'acqua, della sabbia, uno ieri e un domani. Oggi è la poesia, anzi, oggi è te che sei la poesia e ci cammini dentro e cerchi il saltimbanco napoletano per chiedere qualche altra informazione -sei così puntiglioso a volte, vuoi ponderare bene i pro e i contro dell'affare.
Ma io ti dico di lasciarlo un po' stare, il saltimbanco: ora lo spazio è tutto vuoto, il cielo è bianco, il pavimento è bianco, tutto è bianco, la notte è chiusa dentro la valigia. 
E quindi, non ti darò niente in cambio, nemmeno un verso, una parola, una sillaba. 
Però, perciò, da tu a io, da io a tu (ecco dov'era teso il filo del bucato, tra tu e io, ma due rette parallele all'infinito s'incontrano!): mi concedi questo bacio?

2 commenti:

  1. Eres blancura, albo orfebre que labra
    -nieve y silencio, a nadie destinada-
    el oscuro fulgor en que, de nada,
    floreces tú, vacía, hecha palabra.

    Pero no es tuyo el eco en que se abra
    tu voz en otra voz, aun no escuchada.
    Lo pensado es real en la impensada
    ficción -otra palabra en tu palabra-.

    Aunque después, remota como el viento,
    glacial como la noche, con correctas
    razones negarás tu propio mito,

    ya en tu voz habrá el eco de un intento;
    pregunta sin respuesta: las dos rectas
    que curvan en un beso el infinito.

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  2. 10 de julio; doble aniversario natalicio: del DIVINO MARCEL y del PICTOR OPTIMVS. Aforismo de Kafka: "Si se llega a un punto determinado, ya no hay regreso posible. Hay que alcanzar ese punto".

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