domenica 16 ottobre 2016

Del condizionale passato che non si abbellisce con la carta da parati e del presente semplice che è già bello di suo

Il fatto è che non potevamo uscire insieme.
Uscire insieme in un posto così brutto, intendo.
Lo capivo bene, mentre guardavo te che guardavi fuori dalla finestra senza mai scostare le tende, rigirando il cucchiaino nel caffè d'orzo che non sapeva di niente e non dicevi neanche una parola, ma quel silenzio voleva dire in effetti che non ci possono essere parole senza un orizzonte. O con un orizzonte così brutto.
E, in effetti, non si poteva che chiudersi dentro, abbellire i muri, impreziosire la carta da parati, colorare le tende ogni giorno di un colore sempre nuovo, giusto così, per non rimanere vittime della ruggine e del fetore di quel mondo fuori, così brutto, così rugginoso, così meccanico.
E alzare il volume delle note di Chopin e dei Led Zeppelin -notturno e scale al cielo- per coprire il cigolio infernale delle macchine, il flusso del petrolio nell'oleodotto, il tintinnio cupo delle foglie cadenti che, a furia di prender fumi e sgarbi, eran diventate coriacee e non più riassorbibili dal suolo e così si accumulavano ai lati delle strade e sul greto del fiume, ormai color del bronzo, e a un passante disattento sembravano una distesa di cadaveri di pesci bluastri e noi si doveva sempre dire che di pesci non ce n'erano più da quel dì, nemmeno i cadaveri, perché nel fiume color del bronzo si erano sciolti. Sciolti, esattamente, e così erano diventati il fiume stesso così come erano diventati cielo gli uccelli bruciati all'istante dalle esalazioni della fabbrica e terra i nostri pensieri che cadevano dalla testa, senza potersi fermare per un attimo nemmeno.
Così ci vedevi segregati in casa, le nostre sagome più spesse, come se ci si fosse attaccato addosso un segno distintivo e sembravamo omini stilizzati appiccicati alla finestra e invece eravamo pur un uomo e una donna e forse un tempo ci eravamo amati o forse non c'era stato tempo per questa evenienza, si era bruciato tutto prima e ci aveva scaraventati nel mondo del condizionale, ci saremmo amati, ti dicevo qualche volta, mentre rigiravi il cucchiaino nel caffè d'orzo e rimanevo incantato a guardarti e quel pungolo d'incanto sembrava un punto di colore in quel mondo così brutto. E chissà -pensavo-, se tu anche per un attimo m'avessi guardato attraverso le lenti ocra degli occhiali dietro cui ti nascondevi a quella luce troppo funesta, chissà, forse dal mio punto di colore e dal tuo sarebbe venuta fuori una macchia e poi, come un'ameba, un primordiale organismo unicellulare, avrebbe allungato i suoi pseudopodi ed espanso il colore e l'incanto tra i tubi e la vita incenerita.
Ma tu non mi guardavi, volevi solo proteggerti, arrivare a domani, e io ti guardavo troppo, affossata nelle rughe che di giorno in giorno comparivano sul tuo volto e ti dicevo sempre che mi parevi molto bella e che triste eri anche più bella, si apriva una profondità che trascendeva i confini del tuo corpo, che allargava lo spazio e se ne andava in giro, portandoti altrove, fuori dalla canna fumaria, sotto il pavimento e anche in mezzo alle pareti, ma io avrei rinunciato a un po' di bellezza per vederti allegra e allora magari ti cambiavo la tenda, cambiavo il lapislazzuli con il verde e a volte anche due, tre volte al giorno, pur di vederti meno bella ma più allegra, pur di vederti girare il capo e posarlo sul mio, a guardare l'orizzonte della tenda, il tramonto sulla tappezzeria, il germoglio al centrotavola. 
E ricominciavo coi condizionali, avremmo potuto amarci, anche se a me pareva proprio di amarti al presente semplice, ma mica te lo potevo dire in un mondo così brutto, c'era questo tacito accordo che rispettava il tuo amore per l'estetica, per ogni cosa ci vuole un contesto, per le parole un foglio immacolato, per le storie un tempo, e noi siamo così fuori dal tempo, nel tempo del condizionale, per di più passato, nella terra del rimpianto bronzino e delle foglie che sembrano pesci e non se ne esce di certo con una carezza tra i capelli e un "ti amo" al presente semplice che in realtà non c'è. 
E tu sei vecchia e invecchi e al massimo mangi e bevi e dormi e ti rannicchi nelle tue rughe e sei così oberata dai miei colori spessi, che a poco a poco si mangiano i muri della casa e a me pare proprio di amarti in malo modo e mi liquefo nel colore, piano piano.
Ma sai che c'è?
C'è che oggi è Natale, o forse non ancora ma facciamo finta, avevo solo bisogno di un pretesto per spulciar fuori un regalo.
Perciò svegliati, vorrei dirti che mi sembri bella, ma siccome bella è triste taccio, perché voglio solo che tu sia allegra, allegra e brutta e ti ho portato un colore.
Non fare quella faccia, questo non ce l'hai, te lo giuro che non l'hai mai visto.
Mi dici che tirerei fuori anche il colore più strambo per uscire dal condizionale, ma sai che c'è, che invece io ti ho regalato un po' di bianco, strano non averci pensato prima, e vieni, vieni un attimo fuori.
Ti impunti, non vuoi uscire di qui.
Ti trascino, esci fuori. Ti porto a vedere una cosa bellissima.
Saliamo fin sul tetto della nostra casa, avresti mai pensato che fosse così alto?
Il bianco è dappertutto, una nebbia soffice sul nostro mondo così brutto.
Dipana sul profilo aguzzo delle ciminiere, cammina sulle acque del fiume, cancella le foglie morte, rischiara il cielo. Imprigiona le molecole tossiche, le sospende in alto, come piccoli astri scuri, come ombre delle stelle, nel nostro mondo che è un negativo di quell'altro, anche noi siamo ombre che hanno perso il corpo.
Però, guarda, in mezzo a tutto questo bianco, i tubi dell'oleodotto sembran strade e le ciminiere colline e castelli. I fumi sembrano l'evaporazione di una grande brughiera o l'esalazioni di un grande mare.
Di', non ti sembra bello?
Di', non ti senti più giovane?
Dimmi, non c'è spazio per un estemporaneo presente? Presente semplice?
Dimmi, per questo attimo soltanto, prima che la nebbia si diradi, prima che torni quel mondo bruttissimo, dici davvero che non hai un pungolo di colore a mischiarsi col mio, una serpentina d'incanto tra gli strati della pece, un guizzo d'amore, un bacio ombra, uno stampo perenne s'un effimero bianco?

                     Foto di dmar73    http://instagram.com/dmar73

1 commento:

  1. Io credo di aver appena letto un alto grido di dolore. O di mancato amore. O di amore vissuto. O di cose mai chieste. Che sempre chiamiamo nostalgia. E ci sospendono. Rinnovo i complimenti.
    M.

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