martedì 31 marzo 2015

L'arancia! L'arancia è ferita!

Ho rotto la natura morta.
L'ho rotta, l'ho fatta a pezzi.
Ho macchiato la tenda dopo aver affondato il coltello da parte a parte nell'arancia. 
Serviva farlo, la natura era morta, la tenda era bianca, Dio mio, non lo capisci? 
Ceramiche e mele rotonde, lucenti. E poi arance ruvide, tutte chiuse in se stesse. Pesche e teiere con fiori e quella finestra col cielo limpido all'imbrunire.
E poi quello che non vedi dietro questo quadretto 40x50: il parquet bianco, la sedia a dondolo azzurra, la coperta a quadri sopra la sedia a dondolo azzurra, il silenzio -palpa questo silenzio come fosse un corpo. È un corpo morto, un Cristo deposto dalla croce in mezzo a un cimitero di libri incellophanati in una carta color lapislazzuli, libri che così non hanno titolo o polvere o screpolature.
Ho rotto la natura morta: i frutti erano facce tonde, senza bocca inghiottivano l'aria, diventano ogni giorno più grandi. 
La caraffa era prosciugata, la teiera era prosciugata, i piatti erano vuoti. E al centro troneggiava lei, la natura morta. 
Mi cacciava la sedia a dondolo perché non le sgualcissi la coperta, i libri si chiudevano all'unisono e non finiva il tramonto, così la natura morta diveniva un po' più perlacea e luminescente contro il cielo purpureo.
Non sapevo dove stare, da dove incominciare. 
Così ho colpito l'arancia per prima, perché macchiasse la tenda ricamata, che allertasse la sedia a dondolo che allertasse i libri che allertasse la finestra che allertasse il sole di lasciarmi un po' di tregua, un placido buio, così avrei ingannato il parquet, lasciato le impronte di fango, dappertutto.
E tutto di fatto cadeva, i supporti della sedia a dondolo rovinano come gli ossicini di uno scheletro -che commedia!-, si sfrangiava il plaid come una ragnatela, i libri si decomponevano in strisce sottili e parallele.
E intanto in perfetta simmetria si divideva l'indivisibile, le pesche e le mele, destra e sinistra, e volava la testa della caraffa verso il basso e il fondo verso l'alto -che danza!- e i semi dell'interno delle mele a fecondare il mondo che non tramontava -via!- e il becco della teiera, sospeso a mezz'aria, sbuffava come un usignolo -che sinfonia!-. 
Si sbriciolava ciò che era nel vaso compatto, liberi i petali sgualciti sembravano l'ombra bambina di un vecchio centenario, restava appena lo stelo al centro del tavolo, appeso alle radici, tutto curvo -il bastone del vecchio, certamente!-
Che male, che male la vita!, diceva la natura morta e la tenda si scopriva come una verginità per la prima volta violata. 
Che male, che male l'amore!
E io ridevo a crepapelle, col mio coltellino da frutta assassino
   
     l'arancia! l'arancia è ferita!

E io senza far niente, sulla sedia a dondolo sfondata, col plaid senza trama e senza ordito dietro la testa, la lascio morire.

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